Il 10 Aprile in Turchia, in prossimità del confine con la Siria, il giornalista italiano Gabriele del Grande è stato fermato dalle autorità locali perché in area non autorizzata ai giornalisti. Del Grande è stato quindi condotto in un centro di detenzione e, nonostante l’intervento delle autorità italiane alle quali era stata promessa una rapida espulsione del giornalista, non è stato rilasciato. Il fermo è stato preceduto da un duro braccio di ferro tra Turchia ed Unione Europea relativo alla campagna referendaria e giunge esattamente 6 giorni prima del referendum costituzionale che, il 16 Aprile, ha avviato la Turchia al presidenzialismo e all’ampliamento dei poteri del Presidente.
Sulla questione risulta utile fare un collegamento: a Marzo 2016, il 3° figlio di Erdogan, Bilal, ha dovuto lasciare Bologna e gli studi “per motivi di sicurezza” e solo 5 mesi prima, il 15 Ottobre 2015, è stato indagato per riciclaggio (accusa mossa dall’imprenditore turco Murat Hakan Uzan, forte oppositore di Erdogan e rifugiatosi in Francia perché perseguitato, a livello politico e giudiziario, in Turchia).
Per stessa ammissione del Presidente Erdogan, il figlio non è potuto rientrare in Italia e continuare gli studi per il rischio di essere arrestato in seguito all’indagine, fattore che, sempre in base alle dichiarazioni di Erdogan, avrebbe potuto mettere in serio pericolo i rapporti tra Italia e Turchia. La non disponibilità verso i p.m. italiani da parte dell’imprenditore turco Murat Hakan Uzan e la mancanza di prove a sostegno della sua tesi, hanno portato all’archiviazione del caso a Gennaio 2017. Non è quindi da escludere il fatto che il fermo di Del Grande possa essere adducibile ad una sorta di rappresaglia per i fatti accaduti a Bilal Erdogan in Italia. Il fatto sottolineerebbe ad ogni modo il clima di tensione tra Turchia e personale expat nel Paese, facilmente oggetto di fermi e controlli specialmente grazie allo stato di emergenza, prorogato nuovamente di 3 mesi il 17 Aprile in seguito alla vittoria del si al referendum.
Il caso del giornalista, al quale è stato vietato l’avvocato e che avrebbe iniziato lo sciopero della fame, ha avuto risonanza internazionale portando ad un intervento anche da parte dell’Unione Europea e nello specifico, del Presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, il quale ha affermato che “la Turchia deve rispettare la libertà di stampa se vuol far parte dell’Unione europea”, aggiungendo che il negoziato diviene ancor più complicato man mano che ci si avvicina al referendum per la reintroduzione della pena di morte. Ma tutte le mosse di Erdogan, almeno fino ad ora (dalle epurazioni seguite al tentato golpe, al referendum per il super presidenzialismo, alla volontà di indire un referendum per la pena di morte) indicherebbero la volontà di concentrare i propri sforzi verso il Medio Oriente, abbandonando l’idea di far parte dell’UE. Ciò implicherebbe un ulteriore impegno da parte dei Paesi europei legato ad una eventuale apertura dei confini, da parte della Turchia, alle migliaia di rifugiati presenti sul proprio territorio, un esodo che l’UE dovrà eventualmente gestire con non poche criticità.
Ad oggi, dopo aver raggiunto i 14 giorni consentiti come termine ultimo per attivare la custodia cautelare di un qualunque cittadino senza aver formulato alcun capo d’accusa, il reporter italiano è rientrato in Italia.
Inoltre, il già difficile contesto sociale attuale, è turbato da nuove azioni di polizia volte a distruggere la presunta rete di cospirazione legata a Fethullah Gulen. L’ultima operazione di cui si ha notizia, ha visto coinvolti più di 8.000 agenti di polizia che hanno operato simultaneamente in tutto il Paese, arrestando circa 1.000 imam ricollegabili alla rete di cospiratori contro il Presidente, in esecuzione di più di 3.000 mandati di cattura.
Si segnala infine che, mentre i rapporti con l’Unione Europea e gli Stati Uniti vanno sempre più ad indebolirsi, si rafforzano quelli con la Russia; infatti, i termini di permanenza di cittadini russi sul suolo turco, senza avere un visto, sono aumentati da 60 a 90 giorni. Nel breve periodo è possibile immaginare un rimpasto di Governo, anche alla luce della futura e possibile introduzione della pena di morte e del nuovo assetto costituzionale potrebbe richiedere anche più di 1 anno di tempo per essere completamente operativo.